COVID-19 e rischio cardiovascolare

Fin dai primi mesi della pandemia da SARS-CoV-2 è apparso evidente che le persone con malattie cardiovascolari avevano un rischio più elevato di andare incontro a forme gravi di COVID-19. Con il tempo gli studi hanno mostrato che il rischio di andare incontro a sintomi gravi è circa 3,9 volte più alto e quello di morire di 2,7 volte rispetto ai pazienti COVID-19 non affetti da pregresse patologie cardiovascolari. In aggiunta a questo, secondo quanto emerge da un rapporto dettagliato pubblicato su Economist Impact, la relazione tra COVID-19 e malattie cardiovascolari sembra essere bidirezionale: non solo i pazienti cardiopatici hanno un maggiore rischio di ammalarsi di COVID-19 in forma grave, ma anche chi si ammala di COVID-19 ha un maggiore rischio di andare incontro a eventi cardiovascolari dopo la guarigione dall’infezione virale.

Nel rapporto viene indicato che secondo quanto emerge da uno studio britannico le persone che hanno sofferto di COVID-19 in forma grave hanno un rischio tre volte più alto di andare incontro a un evento cardiovascolare. Su quasi 50.000 persone ricoverate per COVID-19 il 4,8% è andato incontro a un evento cardiovascolare importante nei cinque mesi dopo la dimissione, con un tasso di incidenza tre volte maggiore rispetto al gruppo di controllo. La causa principale emersa dall’analisi di una serie di studi internazionali su ecocardiografie eseguite da tre a sei mesi dopo l’infezione da COVID-19 è una disfunzione diastolica (rilevata in circa il 40% dei pazienti).

Secondo un recente studio pubblicato su Nature Medicine, questo rischio risulta evidente anche in pazienti che hanno sofferto di COVID-19 in forma moderata, non grave e persisterebbe per circa un anno dopo l’infezione.
Non è ancora completamente chiara l’entità del rischio ma nel “long COVID ” le manifestazioni comuni sono la dispnea e il senso di stanchezza, sintomi associati a un maggior rischio di eventi cardiovascolari, con aumento della frequenza di insufficienza cardiaca e di infarto cardiaco.

Questi dati implicano ricadute pratiche sui sistemi sanitari e sulla cura delle malattie cardiovascolari. Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un nuovo andamento dell’accesso di Pronto soccorso. Nei mesi di lockdown la paura dei pazienti di esporsi al virus insieme ai problemi organizzativi di gestione dei casi COVID-19 ha fatto sì che l’assistenza per il manifestarsi di patologie o sintomi cardiovascolari sia stata ridotta a tutti i livelli, aumentando a sua volta la mortalità a breve termine e il rischio a lungo termine.

Per comprendere il quadro, basti considerare che secondo uno studio della Società Italiana di Cardiologia, su 54 strutture sanitarie i ricoveri in Pronto soccorso per infarto miocardico acuto sono diminuiti del 48% nel periodo compreso tra il 14 e il 21 marzo 2020 rispetto alla stessa settimana dell’anno precedente. Questa tendenza si è mantenuta anche nel medio termine. Circa un anno dopo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha infatti riportato interruzioni nella gestione dell’ipertensione e nel trattamento delle emergenze cardiovascolari. Secondo quanto emerge dal report pubblicato su Economist Impact, questa interruzione ha portato a conseguenze diverse come la mancanza di servizi di emergenza e problemi nella gestione dei fattori di rischio oltre che a ritardi nelle diagnosi.

Per il futuro sarà necessario un forte impegno per una gestione efficace delle patologie cardiovascolari anche alla luce della pandemia da COVID-19 e delle sue conseguenze a lungo termine.

Bibliografia
Xie Y, Xu E, et al. Long-term cardiovascular outcomes of COVID-19. Nature medicine 2022;28: 583-90.
Cardiovascular disease and COVID-19 in Europe: Seeing the warning signs and preparing for action. Economist Impact. https://impact.economist.com/perspectives/sites/default/files/ei_cvd_and_covid_infographic_final_may_2022.pdf

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